L’arte-terapeuta

Lavoriamo ognuno all'interno di universi privati, spesso emarginati o in balia di delicati equilibri. Le esperienze, scoperte, risultati, così faticosamente conquistati, corteggiati, evocati, sorgono come delle statuine di cristallo in mezzo alle intemperie e spesso si frantumano, o spariscono come il fumo dopo un’incendio. 

Le perle, distillato di sudore e lacrime, risate e grida, si perdono in mezzo alle tante pagine di carta, programmazioni, progetti, relazioni, moduli, scritte, e posate sopra tanti scaffali polverosi - mai lette. 

Le donne e gli uomini che condividono un attimo di cittadinanza nei microcosmi da noi creati, fuori, vivono da apolidi, marziani nascosti sulla superficie di un pianeta estraneo e indecifrabile. 

I laboratori empatici che formiamo tra le mura dei nostri centri si sfaldano davanti ad una società kamikaze, innamorata della propria armatura.

E camminiamo tra le sponde di un orrido, attenti a non cadere, ma molto spesso caduti nella troppa tensione: nella battaglia per la sopravvivenza; negli sforzi di guadagnare dei salvacondotti attraverso terre e frontiere minate; nel sognare l’espansione di un fragile senso di appartenenza, maturato all'interno del gruppo, per vederlo appeso ad un chiodo alla fine della giornata, sostituito da un cappotto...pesante...quanto l’emarginazione.

E davanti al mondo siamo costretti a parlare d’altro, sempre d’altro, girando eternamente intorno alle cose che veramente importano...qualsiasi esse siano: amore, odio, paura, sesso, soldi, silenzio, senso.

Siamo in molti a cercare il punto in mezzo al nonsenso...in tanti a camminare sul precipizio. Ma, troppo spesso, dopo tanti sforzi, i frutti delle nostre ricerche, dei nostri slanci creativi, appassiscono sui rami, colmi, ma colti da pochi. I nostri spettacoli o “percorsi strutturati” rimangono nascosti in aule o giardini murati, all'interno di vecchi padiglioni, ex manicomi, conventi, fabbriche, oratori, stanzoni, chiese sconsacrate, teatri presi in prestito, sale parrocchiali, strade periferiche - comunque, visti da pochi.

E siccome il miracolo del teatro avviene davanti a quello specchio, catalizzatore chiamato spettatore, pubblico ( “l’altro”) - i nostri percorsi si fermano ai primi passi - quelli della ricerca, dell’elaborazione della forma e del linguaggio. I passi successivi - il confronto, la contaminazione - si bloccano davanti alla quarta parete, creando poche ripercussioni, sciogliendo poche barriere, toccando pochi cuori - ed infine creando ghetti dorati a rischio di implosione… impedendo il teatro di svolgere il suo ruolo curativo.

Commenti

Anonimo ha detto…
il vero problema è riportare la vita nella terra desolata,là dove non si vive in modo autentico...Bisogna cercare le crepe nel muro e donare il gioiello solo achi è preparato a riceverlo.J.Campbell
Vai avanti.ciao
Anonimo ha detto…
Tante persone che osservano con gli occhi...solo alcuni attraverso di essi.
Mi affido alla speranza che vi sia una forma di riconoscimento
...magari ad un altro livello.
Buon lavoro.

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